Cenni Storici

Ultima modifica 17 giugno 2021

Nardò ha origini antichissime, che si intrecciano tra mito e realtà.

La leggenda più diffusa sulla sua fondazione, riassunta nelle forme della fontana addossata alle facciata laterale della Chiesa di San Domenico in piazza Salandra, vuole che in una brulla e soleggiata campagna, agli albori del tempo, un portentoso e altero toro, che viaggiava con altri animali nei ranghi di genti messapiche, nel VII sec. a.C. proprio in queso territorio cominciò a raspare la terra, in un punto da cui scaturì una polla d'acqua; quelle genti, ritenendolo un segno di buon auspicio, decisero di fermarsi in quel luogo, dando vita al primo nucleo della città. Secondo alcuni studiosi locali, l'etimologia del nome può infatti ricondursi all'illirico "NAR", che vuol dire proprio acqua.

Un'altra leggenda vuole che durante il governo italico di Enotro intorno al 1500 a.C., un gruppo di abitanti dell'Epiro (al confine tra Grecia e Albania) dall’Illiria giunse nella Japigia e fondò Gallipoli e Nardò, già prima dell’avvento dei coloni greci. Un’altra leggenda, ancora più antica, narra invece che un gruppo di cretesi-micenei, tra il XIX e il XV sec. a.C., naufragati sulle coste japige durante una tempesta, non riuscirono più a fare ritorno a casa, finendo per insediarsi definitivamente nei nostri territori. Andando ancora più indietro nel tempo, Nereo, un personaggio della mitologia greca, figlio di Ponto e di Gea, proveniente dall'isola greca di Leucade, fondò l’attuale città nel 3559 a.C. del calendario ebraico ed il suo unico figlio si chiamava Nerito.

Prima di chiamarsi Nardò,  la città ebbe nome Naretòn in messapico, Nerìton in greco, Neritum e/o Neretum per i latini/romani, ed ecco perché è ugualmente corretto chiamare i.

Si ipotizza che la nascita di Nardò come centro abitato risalga al VII secolo a.C. con la presenza di un insediamento messapico col nome di “Naretòn”, facente parte della Dodecapoli messapica (una sorta di lega tra città). Nel 460 a.C. i sallentini-messapi di “Nerìton” (in greco) si allearono con Atene nella lotta contro Siracusa, mentre nel III secolo a.C., la città divenne alleata di Pirro e dei Tarantini nella guerra contro Roma. Fu sede di una zecca per 50 anni dal 325-275 a.C. ed ebbe anche tre serie di monete, di cui una datata intorno al 310 a.C. Nel 269 a.C., però, fu completamente occupata dai Romani, che la saccheggiarono e la distrussero. Inoltre, la sconfitta subita tra il 90 e l'88 a.C., nella cosiddetta Guerra Sociale dagli alleati italici contro Roma, portò Nardò alla rovina, in cui giacque per tutta la durata della Repubblica. Nel 26 a.C., abbandonata per decenni, fu riedificata sotto l'impero di Ottaviano Augusto con il nome di "Neretum" o "Neritum"  - da cui la denominazione di Neritini/Neretini degli attuali abitanti, e in meno di un secolo prosperò, riappropriandosi dell'antica importanza, tanto che fu attraversata dalla famosa Via Traiana, che costeggiava tutta la riviera Ionica e fu eletta centro balneare per la presenza dell'Emporium Nauna, probabilmente una grossa borgata di pescatori e mercanti in Santa Maria al Bagno, dipendente da Neretum.

In seguito alla caduta dell'Impero romano d'Occidente (476 d.C) e alle battaglie tra Bizantini e Goti (544), a Nardò si stabilì la dominazione bizantina (552-554) e solo per un breve periodo che va dal 662 al 690, quella dei Longobardi di cui rimase qualche traccia nel linguaggio e nei contratti nuziali eseguiti secondo lo "Jure Longobardorum". Alla presenza dei monaci Basiliani, si deve invece la diffusione delle costruzioni in grotte e delle cripte o chiese ipogee.

I Normanni si impossessarono della città nel 1055 con Goffredo, condottiero, nipote di Roberto il Guiscardo d’Altavilla; tra il 1088 e il 1092, per ordine dello stesso Goffredo, si ricostruirono le mura della città e fu edificato un castello (non più visibile), mentre ai monaci benedettini fu concesso di insediarsi al posto dei basiliani nell'Abbazia di Santa Maria di Nerito (luogo dell’attuale Cattedrale). Dal 1212 passò prima agli Svevi con l’imperatore Federico II di Svevia e poi dal 1266 agli Angioini, con Carlo I d’Angiò, i quali svilupparono il feudalesimo. Dal 1480 al 1484 vi fu un quinquennio di dominazioni turche e veneziane, ma nel 1497 il feudo di Nardò fu assegnato ad Andrea Matteo Acquaviva, il cui figlio Belisario, ne divenne duca. Con lui iniziò il lungo possesso degli Aragonesi protrattosi fino agli inizi del sec. XIX quando il feudalesimo fu destituito e che vide anche momenti molto cruenti come durante il ‘600, quando Gian Girolamo Acquaviva (detto il Guercio) seminò terrore a seguito di un tentativo di rivolta filofrancese dei neretini, ma di fatto assicurando Nardò agli Acquaviva ancora per diversi secoli.

Nel corso della sua storia, Nardò ha avuto un'intensa vita culturale, animata da grandi talenti quali Antonio De Ferraris, detto il Galateo e Ruggero Pazienza “de la cità de Neritò”, autore del “Balzino” ed ebbe anche un’importante tradizione ceramica almeno tra i secc. XVI e XVIII. Di quegli anni (1743) si annovera il terremoto che la rase al suolo con oltre 150 morti. Dal 1806 coi Borboni fu annessa al Regno delle Due Sicilie e dal 1861 al Regno d’Italia.

Nella storia contemporanea di Nardò, nell'immediato dopoguerra tra il 1943 e il 1945, la popolazione neretina accolse a Santa Maria al Bagno un campo profughi di ebrei scampati ai campi di concentramento nazisti, organizzato dagli Alleati. I profughi lasciarono impresse le tracce della loro permanenza attraverso dei Murales, attualmente esposti presso il Museo della memoria e dell'accoglienza di S. Maria al Bangno, che narrano quegli anni e che sono valsi alla Città la Medaglia d'Oro al Merito Civile nel 2005.